Rimembranze Storiche di Alfonso Perrella

AlfonsoPerrella

Rimembranze Storiche Cinquanta anni fa nel Molise

di Alfonso Perrella

tratto da “ La Provincia di Campobasso anno XV n. 2 del 16 Gennaio 1911 pagg.  1-2 “

Un idillio svoltosi in Campobasso nel 1860 fra una gentile signorina ed un valoroso Capitano Garibaldino.

I

Ora che tutti ricordano i fatti del 1860, ne voglio raccontare anche io’ specialmente uno amoroso, assai gentile, quasi ancora olezzante di patriottismo. La giovinetta non contava ancora 20 anni: bella, intelligente, virtuosa oltre modo, appartenente a distinta famiglia, dimostratasi sempre di liberali sentimenti. Il nonno suo, Napoletano, era a stento scampato dal massacro delle truppe a massa del Cardinale Ruffo, entrato nella Capitale il 13 giugno 1799. Da Piedimonte di Alife, attraversato il Matese, sostò a Boiano presso alcuni amici, come a sicura stanza. Qualche tempo dopo, presa moglie, andò a stabilirsi in Campobasso; ove aprì un importante studio di Avvocato, che l’unico figliuol suo fece poi maggiormente rifulgere per dottrina ed onestà

II

L’anno 1860 si appressava a grandi passi; la rivoluzione incominciava a serpeggiare nelle Provincie Napoletane e già il terribile nome di Garibaldi andava per le bocche di tutti. Io, non ancora undicenne, mi trovavo nel Convitto Sannitico, ora Mario Pagano, è come tutti gli altri compagni miei, apprendeva ansioso tutte le notizie che, ad ogni momento ci portava il nostro cameriere (il tanto buono Pasquale De Libera); notizie di combattimenti, massacri, incendi, assedi, prese di città, fucilazioni ecc; notizie sempre esagerate dalla popolare fantasia che ne inventava di tutti i colori. Figuratevi che Garibaldi ci si dipingeva come un colosso, un gigante montato su veloce destriero, con una spada lunga vari metri!… Guai a chi gli capitava innanzi!… Mangiava i soldati Borbonici a cento a cento in un boccone, quando non ne aveva di più… e col semplice suo sguardo fulmineo faceva cadere a terra intieri reggimenti!!! (Brr… per la paura sto tremando ancora!!!)

III

Le notizie incalzavano sempre più favorevoli ai Garibaldini. Nuove strepitose vittorie si narravano, che alla nostra fanciullesca fantasia facevano grande impressione. Una mattina entra tutto ansante il cameriere Pasquale, dicendo che i Garibaldini avevano preso Napoli e, scovato, su una soffitta della Regia il povero Franceschiello (il quale non aveva membro che tenesse fermo), ligatolo con una fune, e trascinatolo mezzo morto nella piazza del Mercatello, lo avevano visto, con i loro propri occhi, pendere dal fatale palco attorniato da una decina di Generali Borbonici, anche essi impiccati. Era il tempo dell’entusiasmo liberale, del patriottismo, dell’eroismo, ma anche delle invenzioni, delle menzogne e delle pazzie. La rivoluzione si estendeva, e non tardarono a formarsi Governi provvisori. Anche a Boiano se ne creò uno con tutti i relativi Ministri e col Presidente. Sopra Civita Superiore fu fissato alcun tempo dopo un cannone con la bocca verso la Srada d’Isernia, dalla quale si temeva la venuta dei soldati Borbonici: Era di legno con cerchi di ferro, costruito dall’ingegnoso fabbro ferraio Pasquale Francesco. Venne affidato all’abile Settedita un cannoniere Borbonico rimandato a casa perché in uno scoppio aveva perduto 3 dita di una mano. Nel farsi il colpo di prova anche il cannone Civitese scoppio, senza arrecare altro danno che la paura.

IV

Un’altra mattina entra in camerata tutto ansante il nostro Pasquale e dice: Sapete ? L’Intendente Conte Sabatelli è fuggito stanotte col Segretario Generale Pulcrano, col Rettore del Convitto Palombieri e col prefetto di ordine Monaldi, D. Nicola de Luca è stato nominato governatore della Provincia. Essendo vera la notizia, considerate che baldoria, che cuccagna, che strepito si fece da noi tutti, piccoli e grandi. Fu una vera anarchia. La disciplina che erasi molto rallentata si ruppe del tutto. Lo studio fu abbandonato, le scuole chiuse, perché nessuno più ci andava. Pel nostro vasto Convitto echeggiavano le grida di Viva Garibaldi, Viva Vittorio Emanuele, morte ai Borbonici, grida che si avvicendavano con quelle del popolo. E dire che pochi mesi prima, nello stesso Convitto, erasi commemorato con una pubblica Accademia vocale e strumentale la morte del magnanimo, immortale e paterno Re Ferdinando II, inneggiando alla Dinastia Borbonica. In quelle stesse mura, a così breve distanza, si era cambiato di opposto metro! Oh come è fulminea la volutilità politica, il cambiamento di scena dell’umano sentimento! In quella occasione io sentii il magico violino dell’ottimo e maestoso Prof. Pasquale d’Ovidio, nativo di Triventi, accasato a Campobasso, padre fortunato di 2 illustri viventi Senatori, Enrico e Francesco. Fra gli altri alunni aveva declamato una bella poesia il mio carissimo compagno Giovannino Ionata, poi consigliere Provinciale e Sindaco di Agnone; (chiamato da noi bonariamente: il fanciullo ); poesia dettata dal padre D. Alessandro, la cui simpatica figura tengo presente alla memoria. Ed io anche recitai un piagnucoloso sonetto, non ricordo se con la coda o senza.

V

Garibaldi da Caserta aveva, con una specie di alter ego, dato incarico al valoroso Nicola Campofreda ed ai figli Antonio e Achille (di Portocannone) di sollevare tutta la Provincia di Molise contro la dinastia Borbonica. Perciò il movimento rivoluzionario ebbe ad estendersi in tutti i paesi, tranne ad Isernia guarnita di molta truppa Regia. Per combattere e domare questa erasi mosso il Governatore de Luca ( ben noto a tutti per patriottismo e sofferenze politiche) con molti liberali; ma la spedizione, quantunque condotta con molto ardimento, ebbe, come tutti sanno, un infelice esito, specialmente perché nuove truppe Regie corsero a difendere Isernia. In seguito a tale disastro il patriotico Boianese D. Girolamo Pallotta corse a Caserta, persuadendo Garibaldi a mandare il Colonnello Nullo, il Maggiore Caldesi, i due Capitani Zasio e Mario con 12 guide a cavallo, a capo di una legione di 3000 volontari che si sarebbero trovati riuniti a Boiano, cercando con essi di prendere ed occupare la importante posizione strategica di Isernia.

VI

Nullo, giunto con i suoi a Campobasso, prese subito gli accordi col Governatore de Luca per la nuova spedizione. In quella breve fermata il Capitano Zasio si accese di ardente amore per la nostra fanciulla, e ne venne ricambiato. Fu un idilio esuberante di affetto e di patriottismo, bello e virtuoso. Alberto Mario lo racconta nella Camicia Rossa (Milano 1875, pag 198 e seg.), ma tace il cognome della famiglia alla quale apparteneva la giovanetta, e questa chiama Silvia; ma non era il vero nome. Trasforma ad arte, o forse sbaglia alcuni particolari di parentela. Egli, col suo attraente stile scrive:  «Silvia non era una bellezza incontestabile, e per avventura il piglio energico offendeva le delicate linee della grazia, se pure la sua spontaneità nativa non rendevalo attraente come il fiore della selva: Spigliata ed agile della persona, aveva il passo, la posa, la dignità di una principessa. Balzava il breve ed asciutto piede con eleganza pericolosa e se alcuna rara volta toglievasi i guanti, mostrava una mano lunghetta e rosea, con pozzette ridenti, e con ridenti e rosee ed ovali e tersissime unghie. Aveva bellissimi gli occhi bruni, ai quali le folte ciglia conferivano una espressione complessa di voluttà, di mestizia, d’ingeniutà, di penetrazione. I voluminosi e nitidi capelli neri, pettinati a ritroso e raccolti in un fascio di elaborate trecce, facevano spiccare la fronte di statua greca, ove esultava la giovinezza….. Quel dì il capitano e Silvia, attirati inconsapevolmente l’uno verso l’atra ebbero più fiate occasioni di particolari colloqui: si trovarono vicini a pranzo, soli a passeggio in giardino nell’ora del caffè, e dirimpetto in carrozza. Questa serie di opportunità non fu ordita, nacque da se, e noi, intrattenendoci coi signori X vi abbiamo cooperato. Egli palesassi cavalleresco, appassionato, eloquente. Vago di sintesi, ed educato alla scuola sentimentale degli umanitari, le sue idee pigliavano sembianza pellegrine nella mente di Silvia, e vi si impressero come una ghirlanda di punti luminosi che lìabbagliarono. Forse, udite da altre labbra, ella avrebbele raccolte con più cauta deferenza, ma raccontate dalla giovinezza e protette dal valore, ogni acume di critica divenne ottuso. Silvia apparve ascoltatrice intelligente, interlocutrice vereconda, giudiziosa e arguta. » (pag. 199)

VII

La spedizione Garibaldina contro Isernia si effettuò subito, ma anche essa ebbe un esito infelice, e più della prima. Duecento e più di quelli animosi caddero nel terribile giorno (18 ottobre 1860) fra le Termopili del Sannio, come gli Storici ebbero poi a chiamare le gole e le balze di Pettoranello e di Castelpetroso (i). Nullo, Caldesi, Zasio e Mario, apertasi coraggiosamente la strada fra i nemici ricoverarono a Boiano, e di la a Campobasso.

VII

A Campobasso i due giovani si rividero, ed il loro amore maggiormente avvampò: La povera Silvia, per la patita sconfitta dei Garibaldini era caduta malata: Alberto Mario così continua a scrivere: « In casa dell’ospite X….. a cena spiegando la salvietta, ciascuno di noi vi trovò entro un pugnale di finissimo acciaio con la scritta all’acqua forte: vendetta. Era lavoro di una fabbrica di armi bianche di Campobasso, giustamente famosa nelle Sicilie, ignorata altrove, e dono simbolico di Silvia, presente e malata » pag. 223 Nullo con i suoi tornò a Caserta. I due giovani non si rividero mai più. Nuove enre guerresche e politiche impedirono al Capitano Zasio il ritorno a Campobasso: La giovanetta deperì come fiore svilito dallo stelo: Un male ribelle ad ogni cura la trasse qualche anno dopo al sepolcro, compianta da tutti….. Povera Silvia!….

Cantalupo nel Sannio, gennaio 1911 Alfonso Perrella

(i) il minuto e particolareggiato raccorto delle due spedizioni trovasi nel 2° volume della mia Effemeride Molisano, stampata nel 1890.

Rimembranze Storiche

Cinquanta anni fa nel Molise fra le Termopili del Sannio

L’orribile notte di Castelpetroso di Alfonso Perrella

Tratto da

“ La Provincia di Campobasso Anno XV n. 5 del 15 Marzo 1911 pagg.1-2 “

Il Governatore Nicola de Luca, che aveva occupato Isernia il quattro ottobre, fu costretto subiti a abbandonarla, in furia e fretta, perché all’improvviso, la città era stata circondata da numerosa truppa Borbonica, rinforzata da vari pezzi di cannoni (1). Il Colonnello Nullo, come ho accennato nell’articolo precedente, mandato da Garibaldi per riacquistare quella importante posizione strategica (che era la chiave degli Abruzzi e delle Marche) aveva riuniti circa 2000 volontari a Boiano per marciare verso Isernia. Nullo, con quasi metà della colonna, venne, il giorno 17 ottobre, a Cantalupo, ove pernottò, col Capitano Mario in casa Cascella (2). Il Capitano Zasio e D. Nicola Campofreda con i due figli alloggiarono a casa mia. Io undicenne, tornato dal Collegio Sannitico, per godere le vacanze autunnali, mi aggiravo, tutto lieto e festante, fra quei Garibaldini, i quali percorrevano le vie del paese, cantando patriottici inni, fra i quali ( oltre quello di Garibaldi) ricordo, come se fosse oggi, le parole, la musica e le cadenze del seguente:

Viva l’Italia costituita,

Risorta al giubilo Di nuova vita,

Per mille secoli,

In ogni età,

Viva l’Italia,

La libertà.

Presto abbracciamoci,

Siamo fratelli,

Non più servizii,

Non più ribelli.

Per mille secoli,

In ogni età,

Viva l’Italia,

La libertà.

Bella Partenope,

Madre d’eroi,

Deh più non piangere Pe’ figli tuoi:

Per mille secoli, In ogni età, Viva l’Italia, La libertà.

Così allegramente, cantavano quei baldi e coraggiosi uomini, senza potere menomamente pensare (i poveretti!) quale orribile tempesta stava per scatenarsi, a brevissima distanza, sulle loro spalle fra Pettoranello e Castelpetroso, in quelle rupi e balze, che, poi, gli storici ben appellarono Termopili del Sannio, il cui ricordo metteva i brividi nelle ossa, come scriveva ad Alberto Mario, nella lettera del 22 giugno 1866, Carlo Cattaneo (1).

(1) Pubblicherò, un’altra volta, il Rapporto Ufficiale su questa spedizione, il quale conservo fra i manoscritti della mia libreria. Credo he sia inedito.

(2) La famiglia Cascella, conserva ancora alcuni oggetti, che, quel grande patriota, lascio, muovendo per Isernia contro i Borbonici. Essi sono: una tabacchiera, un porta cerini, una piccola caffettiera ecc.

II

Alberto Mario che ebbe tanta parte a quella spedizione scrive: « Il giorno seguente (18 Ottobre) sul mezzodì, chiamato da Nullo, giunse il resto della colonna da Bojano, e, lasciati 100 uomini guardiani di Cantalupo, si proseguì alla volta d’Isernia. Dopo le due, eccoci all’altezza di Castelpetroso. Troviamo la borgata letteralmente deserta, toltine un vecchio e una ragazzetta che ci contemplavano con atteggiamento d’idioti senza rispondere alle nostre interrogazioni.  Quest’aria di cimitero, osservò il Maggiore (2) non mi piace. Il gabelliere di Pontelandolfo ci parlò di agguati (3). Ei mi sembra il caso Di cotesti abitanti non ne vidi uno al lavori de’ campi. Dove se ne andarono eglino? Il luogo eminente di Castelpetroso è naturalmente forte; io mi arresterei qui per oggi: Qui abbiamo le spalle assicurate: Che ne dici Mario-  — Anch’io, risposi. Non sembra indifferente esplorare la montagna per chiarire la causa di tale derelizione. E giacchè i Piemontesi avanzano dalla via di Sulmona, di qui potrebbesi irrompere di fianco sul nemico accapigliato con essi di fronte. Tale consiglio prudente mi suggeriscono i dubbi di Nullo sulla fermezza de’ nostri soldati. A cui Nullo: occuperemo Pettorano a due miglia da Isernia; vedetelo lassù, sulla punta di quel monte a pan di zucchero. Dobbiamo gittarci sul nemico, anzi che arrivi il rinforzo di Scotti. Se gl’insorti ci minacceranno le spalle, noi sposteremo la nostra base d’operazione da Bojano a Casteldisangro, mutandoci siffattamente in vanguardia de’ Piemontesi. Se irresistibilmente attaccati di fronte, ripareremo con sucurezza su Bojano facendo testa a Castelpetroso.  Però non credo, replico Valdesi, che giovi scendere da un’altezza sicura per risalire un’altra dubbiosa.  L’idea di Nullo è brillante e schiettamente garibaldina, io ripicchiai, ma presuppone l’idea sorella che noi sfondiamo il nemico procedente da Isernia per effettuare la marcia di fianco sulla consolare di Casteldisangro; la quale idea ne presuppone una terza: l’intrepidità dei soldati: Comunque fosse di queste nostre speculazioni e discrepanze strategiche, preponendo la massima abituale dell’andare avanti, si procedette sino all’osteria sulla consolare alle faldi di Pettorano. Ivi attendendo le nostre genti, ristorai di acqua e di biada il mio cavallo, presagendo che in quel dì avrei dovuto contare non poco sul fatto suo. Alle 4 facemmo il nostro ingresso in Pettorano…. Nullo affidò un mezzo Battaglione al capitano Zasio, commettendogli di piantari su Carpinone, arduo monte di prospetto a Pettorano. Collocò il Maggiore all’osteria con 60 uomini di riserva; e a me ordinò di munire, co’ 600 rimanenti, il collo di Pettorano che protende una delle sue pendici a guisa di cuneo orizzontale verso Isernia.

Ciò fatto, spiegiai in catena una mezza compagnia a traverso la gola, anello fra le faldi di Carpinone e di Pettorano. Alle quattro e mezzo principiò la manovra del nemico da Isernia: Un battaglione di Reg, la più parte gendarmi, avanzava sulla consolare e sui campi laterali con mezzo squadrone di cavalleria: alle ali cafoni a torme: Per animare i nostri con una prova segnalata di valore, Nullo mi fece raccogliere le guide ed i soldati di ordinanza. Così in 18 si scese da Pettorano; toccata l’osteria, il Maggire e Mingon si aggiunsero al drappello. Di là al galoppo all’incontro dell’avanguardia borbonica sulla consolare. Quei di Carpinone, testimoni del fatto, ci battevano le mani, e mandavano alte grida d’entusiasmo ripercosse dal monte di Pettorano. Spintici in prossimità deì Regi, li caricammo a briglia sciolta, e li mettemmo in volta disordinati.

— Indietro, indietro! I cafoni al monte I urlarono di repente i nostri di Carpinone. Noi li udimmo, e nondimeno si prosegui l’irruzione: E per verità vivissime e inaspettate scariche ci colsero di fianco dalla pendice avanzata di Pettorano, che io avevo guerrita di 200 uomini. Nullo non sapeva persuadersi come quell’importante posto fosse stato preso senza lotta, e temendo di perdere Pettorano, divisò di rifare il cammino fino alla borgata. Si accese pertando un combattimento strano fra noi cavalieri ed i cafoni, che dietro agli alberi ci bersagliavano diabolicamente a pochi passi. Al sottotenente Bettoni, una palla infranse una gamba e lo condussero alla nostra piccola ambulanza all’osteria. Noi cacciando i cavalli su per l’erta nell’oliveto con rivoltelle e con spade venimmo alle strette co’ cafoni. Intando, scesi in aiuto alquanti da Carpinone, e accorsi quelli che io collocai nella gola, dopo un accanito contrasto ci riesci fatto di ributtare gl’insorti in piena rotta: Nullo mi ordinò di assumere il comando de’ sopraggiunti, dìinseguire i cafoni, di regolarmi secondo le circostanza, e di tornare a ragguagliarlo. Egli e il Maggiore e le guide voltarono il cavallo verso Pettorano.

Messi insieme un 150 soldati, li guidai contro i fuggenti. L’avanguardia regia respinta dalla nostra carica a cavallo, il successivo ritrarsi de’ cafoni e lo affacciarsi del mio corpo persecutore gettarono qualche scompiglio nella colonna nemica, la quale ripiegava sopra Isernia. Tentò essa due volte di fronteggiarmi, ma raccolti in massa l’assaltai alla baionetta, e pervenni di gettarne una parte sulla sinistra e d’impedire il suo ricongiungimento col rimanente che per la consolare si rifugiò in Isernia… Deliberai d’impadronirmi della linea di collinette che limitavano la pianura e sovrastano a Isernia, ove mi collocai…. Era già mezz’ora di sera e nessun ordine mi venne trasmesso dal comandante. Laonde, consegnata ad un capitano la custodia della collina, rifeci la via al quartier generale di Pettorano per riferire il risultato delle mie operazioni, per apprendere i particolari della vittoria su tutta la linea e per ricevere nuove istruzioni. Una sequela di archibusate partite da Pettorano mi fastidiva il ritorno, e deploravo il solito vezzo de’ volontari di tirare ad ogni ala di vento, anche contro ai propri amici. Giunto con qualche difficoltà a traverso i campi, intersecati da fossati e da siepi, sulla consolare, mossi al trotto verso l’osteria discosta circa due miglia. Dopo un miglio m’imbattei in alcune squadre dei nostri carri senza cavalli. Riconosciutici a vicenda, queglino mi dimandarono notizie con voci confuse e paurose, narrando che furono sbaragliati da’ regi e che pel momento favoritali l’oscurità. — Caso parziale, io risposi con accento rassicurante; noi abbiamo battuto completamente il nemico e la giornata è nostra. A tali osservanze stettero paghi e lieti, ed io tirai diritto al passo. Il silenzio diventa di più in più profondo e solenne. Dopo breve tratto, dalla pendice di Pettorano la consolare piega a sinistra, traversa la gola, poi ripiega a destra alle radici di Carpinone. Ivi mi percossero l’orecchio gemiti di moribondi, e la notte stellata consentivami appena di distinguere alcune masse brune sul fondo chiaro della strada. Smontai di sella e riconobbi che gli erano cadaveri e feriti, tragicamente mescolati insieme. Subito m’acquietai ricordando i caduti nel combattimento che sostenemmo per espugnare la pendice. Sperando che qualcuno di quei dolorosi potesse intendermi, li affidai che avrei mandato senza indugio a raccoglierli e medicarli. Veruno pronunciò sillaba, e l’interrotto rantolo dell’agonia fu la sola risposte che mi venne udita. Ma nel procedere sul mesto sentiero, la vista frequente di consimili masse brune funestò i sereni pensieri della vittoria, e mi assicurò che quello fu teatro d’altre e fiere lotte, mentre io all’avanguardia guadagnavo le colline d’Isernia. Quant’ è grave il sonno sugli allori ! dicevo sospirando meco medesimo. Affè di Dio, si direbbe che non ci fosse anima viva! Poveri diavoli, le fatiche della marcia, le ansie della battaglia li affranse…. Con siffatte riflessioni capitai all’osteria. Bruciavo dal desiderio di risapere gli eventi di consolare le fauci riarse con un bicchier di vino e lo stomaco vuoto con qualche vivanda. Entrai, chiamai, picchiai e corsi la casa di dentro e di fuori. Deserto! Né ospiti, né oste, né creatura viva. — Bene, dissi, l’oste se ne sarà ito saviamente, e gli amici sarannosi ristretti a Pettorano. Ma per !!!, nemmeno un picchetto di guardia! Nemmeno una sentinella! Traversai la consolare e cavalcai su per la salita di Pettorano, sciacciando dall’animo le cure uggiose che vi facevano capolino»

(continua) A. PERRELLA

(1) La Camicia Rossa, p. 7 (2) Caldesi. (3) Nullo, Mario, Valdesi, Lavagnoli, Zasio, Bettoni, Mori, ecc.17 in tutti, fra Ufficiali e Guide a cavallo, erano stati spediti da Garibaldi (mentre trovasi a Caserta) a premura del Maggior della Guardia Nazionale, e già Deputato al parlamento, Girolamo Pallotta, di Bojano, affinché alla testa di circa 2000 volontari, avessero soldati da Isernia i soldati Borbonici: Passando per Pontelandolfi, il Gabelliere ivi residente stimò bene avvertirli di non prendere la cosa a burla perché trattatasi di fare con i cafoni, nelle cui vene scorreva il Sannitici sangue. Anche in Cantalupo , Nullo fu avvisato di stare attento agli agguati, alle imboscate, ma egli, credendo di andare dritto alla vittoria, col solo timore del nome garibaldino, curò poco tutto ciò che gli si disse, e fu causa principale della carneficina che ne seguì. Garibaldi, fra le altre istruzioni fornite a Nullo, gli aveva data quella di non muovere verso Isernia da Bojano prima del 20 Ottobre, affinché il nemico si fosse trovato fra i Garibaldini ed il corpo d’esercito del Generale Cialdini, marciante per la via del Macerone. Invece l’ardimentoso Nullo volle innanzi tempo assalire i regii. Allorquando si impossessò di Pettorano, egli nella casa de’ signori Santoro (ove i garibaldini ebbero lieta e cordiale accoglienza ) si mise a suonare il pianoforte, senza darsi pensiero de’ Gendarmi che si avvicinavano, ne si mosse, sulle prime, quando gli Ufficiali gli fecero conoscere il pericolo.

Rimembranze Storiche

Cinquant’anni fa nel Molise fra le Termopoli del Sannio

L’orribile notte di Castelpetroso di Alfonso Perrella

tratto da

“ La Provincia di Campobasso Anno XV n. 7 del 28 Maggio 1911-pagg.1-2

Malconci e pesti, ci condussero alle carceri d’Isernia. Colà un’orribile quadro straziò il mio cuore. Sull’edificio della fontana pubblica, sita nel largo Concezione, riconobbi dalla simpatica barba alquanto lunga e bionda, fra le diverse teste recise dai rispettivi busti, e colà allineate, appartenenti alla spedizione De Luca, pochi giorni prima, quella del mio parente il bravo Giuseppe Suriano di Lupara (Molise), con gli occhi vitri e spalancati ancora che pareano chiedessero vendetta a noi poveri inermi! Lo spettacolo era atroce. Faceva rabbrividire ! Noi, rassegnandoci ad una sorte altrettanto infelice e raccapricciante, seguivamo gli sbirri. Finchè non fummo in carcere, per via, quei reazionarii ci sputavano in viso e ci prodigavano ogni altra specie d’insulti!… Verso le 2 p.m. giungemmo alla carceri, che per amore di brevità non descrivo. Alle 3 l’Ufficiale borbonico Francesco Brescia ( un poco umano, a differenza degli altri colleghi suoi ) ci fece apprestare un po’ di cibo; e potemmo rifocillarci dopo cinquantacinque ore di digiuno ! Venne la notte: i feroci cafoni cominciarono a trasportare presso le carceri legna ed ogni altra specie di combustibili:Volevano bruciarci….. E noi avremmo certamente asceso il rogo, se l’umanità dell’Ufficiale Brescia non avesse prevenuto gl’istinti barbarici di quei cafoni, facendoci di buon mattino partire per Gaeta: i garibaldini semplici a piedi, in numero di quasi centicinquanta, e noi altri ventitre ufficiali su degli chars à banc. La cordialità del sig. Brescia non la dimenticherò più. Peccato che quel buon militare dovesse servire così brutto padrone ! Dopo una giornata e più di viaggio vedemmo passare a tutta corsa una carrozza occupata da un signore e dal Vescovo Saladino. En passant, quei due avvertirono il Sig. Brescia del prossimo arrivo di Vittorio Emanuele. Aggiunsero che accelerasse la marcia, per evitare che fossimo raggiunti. Il Bravo Brescia ci raccontò il suo colloquio. Poi disse: Hodie tibi, cras mihi ! (hodie mihi cras tibi) Come volentieri vi metterei in libertà, se fossi sicuro del fatto mio !…>> Proseguirono il viaggio fino a Gaeta, ove nel giorno 4 Novembre venne loro annunciata la fucilazione perché ribelli e rei di Stato. Ma un contrordine fu dato; la fucilazione era commutatata in esilio perpetuo. Senonchè il giorno 12 un altro doveva seguirne pel quale vennero tutti messi in libertà dietro lo scambio di 1110 prigionieri fatti dal Generale Cialdini al Macerone nel dì 20 Ottobre: Da Gaeta passarono in Napoli, e di là ognuno prese la propria strada. (1)

(1) Stimo utile aggiungere che anche Garibaldi parla lungamente della spedizione di Nullo nel libro I Mille (Bologna 1874, pag 332 e seguenti) ove trovasi uno speciale capitolo intitolato Isernia. Ma la narrazione tiene molto del romantico: Bella è la descrizione topografica, del quale diamo qui un saggio: « Isernia, capitale dell’antico Sannio occidentale, potrebbesi intitolare, come Palermo, la conca d’oro. Circondata dalle alte cime del Matese, ovetesoreggiano sorgenti abbondantissime ed inesauribili da una parte, fra cui dominano in cataratte del Volturno, dall’altra completando la corona altre delle alte cime appennini che ne fanno veramente un paese incantevole, ove il turista, che fugge le aride ed infocate contrade, può trovare quanto brama di verdure, pure fresche e deliziose ad acque zampillanti e cristalline quanto quelle delle Alpi. Poscia cui fu prodica natura d’ogni suo beneficio, ecc. ecc. »

—- I caduti Garibaldini, lungo la strada Isernia Boiano, vennero finiti e spogliati, quasi tutti, durante la notte e nelle prime ore del giorno 19, dai contadini. Alcuni rimasero insepolti ed altri messi in fosse sotto o a fianco de’ ponti, fra Pettorano e Castelpetroso. Nove di essi, capitati tra i reazionari di Carpinone, furono, dopo molte sevizie, gittati in una fornace di calce e bruciati vivi ! (1)  Alle 2 pom. Del 19 il Colonnello Nullo rassegnò la raccozzata forza nella piazza di Boiano, 200 uomini muti all’appello ( dice Alberto Mario ) e 6 de’ 14 distaccati dal quartier generale del Dittatore Garibaldi. Il Nullo, la mattina del 20 tornò con i suoi a Campobasso, ove lo raggiunse un telegramma de Caserta del Generale Garibaldi, il quale gli ordinava di cedere il comando della Colonna al Governatore de Luca. Dopo la patita sconfitta, il Maggiore Valdesi, con cavalleresco sentimento ebbe ad esclamare:  Ora credo anche io puro sangue Sannitico i cafoni del Molise (2) Le emozioni di quella terribile notte sono ancora vive nel mio animo, allora appena undicenne. A sera inoltrata, cominciarono a giungere qui, in Cantalupo, le prime notizie della sconfitta de’ Garibaldini. La popolazione veglio tutta notte, in un’ansia indicibile di curiosità, di commozione, di spavento. Io, dalle finestre di casa mia, guardavo fino verso la strada d’Isernia, che serpeggiava fra i vigneti di S.Angelo in Grotte e Castelpetroso. Di tanto in tanto si vedeva il lampeggiare di una fucilata, che partiva da quei vigneti, ed immediatamente si sentiva il colpo. Certamente, un infelice fuggiasco cadeva a terra, come si verificò dopo!…. L’uomo, in tempo di guerra, diventa più feroce della belva!…. In quella triste azione, si distinse, fra gli altri, un Giovanni Bertone, di Sant’Angelo, ed un tal Angeloantonio Cifelli, Di Castelpetroso, i quali ebbero poi a vantarsi di avere uccisi non meno di dieci Garibaldini per ciascuno!….Il Cifelli, raggiunto poi dalla giustizia, scontò il suo grave fallo in lunghi e penosi anni di galera ed è ancora vivente. Io, divenuto giovanetto, ebbi ad acquistare una sciabola da ufficiale ed uno stile col fodero, raccolti, lungo lo stradale Castelpetroso – Isernia, dopo quell’eccidio. Sulla spada vi è la scritta ad acqua forte: Viva l’Italia unita. Questi due cimeli furono, lo scorso Giugno, mandati da me, in dono, a Roma, al Comitato Nazionale per la Soria del Risorgimento Italiano; del quale Comitato sono l’unico Corrispondente per tutta la Provincia di Molise. Chi avesse curiosità di conoscere qualche altro particolare di quel combattimento potrebbe leggere il libro ultimamente stampato dall’egregio mio amico cav. G. Patella, Colonnello medico della Reale Marina; libro intitolato La Legione del Matese, e del quale diedi, l’anno scorso un cenno bibliografico su questo giornale.

(continua) A. PERRELLA

(1) Così si disse allora, e si scrisse dopo sui giornali: Pur troppo, nelle guerre e nelle rivoluzioni, avvengono simili atrocità, ed anche peggio ! Credo che il crudelissimo fatto di Carpinone siasi molto esagerato. Io non ho avuto opportunità di controllarne la verita.

(1) A. Mario. La Camicia Rossa p. 225.

Rimembranze Storiche

Cinquant’anni fa nel Molise fra le Termopoli del Sannio

L’orribile notte di Castelpetroso di Alfonso Perrella

tratto da

“ La Provincia di Campobasso Anno XV n. 8 del 09 Giugno 1911

pag.1 ”

V

Stimo utile, infine, pubblicare i 2 seguenti Elenchi de’ volontari Molisani, che presero parte quasi tutti, alle spedizioni d’Isernia, o ad altri fatti relativi a quel così turbinoso anno. Il notamento non è certo completo del tutto; e sarei tenutissimo a chi si benignasse farmi gli altri nomi, che vi mancano.

Elenco di coloro che presero parte ai fatti del Settembre Ottobre 1860.

Larino – Paolo Caprice capitano, Giuseppe Falocco, Nicola Marotta, Antonio Palma, Giuseppe Lallo, (sacerdote) Luigi Naglieri, Vincenzo Minotta, Biliverto de Curtis, Antonio Lattanzio, Alessandro de Simone, Felice Agostino Ricci, Orazio Caradonio, Pietrangelo Barbieri, Giuseppe Serafino, Crescenzo Raimondi, Ferdinando Rispoli, Giuseppe Caradonio, Cesare Giancola, Pietro Antonio Minni, Francesco Caradonio, Vincenzo Canci, Vincenzo Frezza, Giovanni Mastandrea, Giuseppe Antonio Frezza, Giuseppe di Iorio, Francesco Occhionero, Telesforo Caprice, Michele Màgliano, Emilio Raimondo, Filippo Santacroce, Olindo Fallocco, Errico Serafino, Bernardino Pilone, Carlo Buccione, Pardo di Tommaso, Alessandro Magno, Giuseppe Bavota, .

San Martino in Pensilis – Costantino Sassi (tenente con menzione onorevole )Domenico Farina, Vito Nicola Facciolla, Diodato Vietri, (sacerdote) Andrea Ranieri (sacerdote) Vincenzo Sassi, Domenico de Tullio, Giuseppe Farina, Leo Belpalsi. Michelangelo Flocco Tommaso Flocco, Alessandro Perrotta, Giovanni Nardioli, Pasquale Buro, Giuseppe Lattanzio, Nicola Tanga, Donatangelo Penta, Francesco Pipino, Domenico di Lallo.

Montorio dei Frentani – Olindo Carfagnini, Settimio Caluori, Aurelio Bucci, Eugenio Caluori, Raffaele Caluori, Teodoro Carfagnini, Giovanni Carfagnini, Paolo Carfagnini, Gabriele Zappone, Ottavio Ferulano, Luigi di Salvio.

Casacalenda – Giovanni Antonio de Gennaro (maggiore) Achille Stera, Costantino Mancini, Giovanni Tavone, Pasquale e Raffaele Tota, Francesco Berardino, Raffaele Piperno, (sacerdote) Francesco Antonio Stera, Domenico Stera, Giovanni Ruggieri, Paolo de Gennaro Eugenio Giambarba, Gaetano Mastrosanti, Antonio e Giuseppe Casilli, Domenico Marinelli, Pietro Lipartiti, Maurizio Tozzi, Massimo Tata, Vincenzo Mastrocola, Enrico de Rensis, Camillo Caluori,  Luigi Novelli, Giuseppe Corsi.

Ripabottoni Nicolangelo Rezza, Benedetto Loreto, Adriano de Julio, Giuseppe Vannelli, Fortunato de Julio, Vito del Vecchio, Arcangelo Ramaglia, Filomeno Amoroso, Achille Lariccia, Ambrogio Amoroso

Morrone Gennaro Farinacci, Giuseppe Ricciuti, Luigi Soccio, Michele Julio Giuseppe Lemmi, Giovanni Fantetti, Pasquale Zaccone, Giuseppe Branca, Vincenzo Mastandrea, Gioacchino Valente, Michele Colasurdo, Luigi Romano, Achille Romano, Francesco Jorio, Luigi Jorio, Luigi Mastrocola, Paolo Innocenzo, Nicola de Nigris, Pasquale Lembo,  Angelo Romano.

Bonefro – Vincenzo Baccari, (maggiore con medaglia al valor militare) Carlo Baccari, Enrico Baccari, Michele Carnevale, Giambattista Petti, Giovanni Baccari, Michele Lalli, Giuseppe Simonelli, Matteo Fantetti, Giuseppe Valente, Francesco Marinaro, Nicola Marinaro, Filomeno Lepore, Giuseppe Silvestri, Antonio Tata, Vincenzo di Marzo, Gaspare Lepore, Abramo Pece, Giuseppe Pavonetti, Aniello Silvestri, Onofrio Montagano, Francesco Colombo, Pellegrino Lupo, Pietro Antonio Colabello, Paolo Baccari, Antonio Porrazzi, Nicola Eremita, Michelangelo Bonadies, Domenico Bonadies, Antonio Iarocci, Nicola Silvestri, Domenico Lallo.

Collotorto – Michelangelo Jorio,

San Giuliano – Vincenzo Pedicini, Luigi Pistilli, Domenico Barboris, Donato Boccardi, Giosuè Franco.

Guglionesi – Giacomo de Santis,(commissario politico, comandante la colonna dei volontari del circondario di Larino) Salvatore de Lucia, Antonio Giordano Vincenzo Pace, Nicola ed Achille Ruggiero, Diego Spada, Vincenzo Marrone, Nicola Caruso, Geremia Pietrantonio, Antonio Leone, Fedele Jonata, Vincenzo d’Onofrio, Giuseppe Miraglia, Luigi Sorella, Vincenzo Jonata, Pasquale Cacchione, Bellino d’Onofrio, Camillo de Socio, Lorenzo de Bellis. Nicola d’Anselmo, Giuseppe di Pilla, Antonio Iannone, Martino Domenico, Maida Giovanni, Iannone Vincenzo, Ierace Giuseppe, Battista Luigi, Pace Luigi, Raspa Giovanni.

Portocannone – Luigi Campofreda ( capitano ) Luigi Bruno, Antonio Muricchio, Antonio Acciaro, Gioacchino Mattarozza, Francesco Gaspare, Nicola di Tenca, Pietro Carlozzi, Michele Vitelli, Giuseppe Cardone, Luigi Lucchesi, Achille Campofreda, Michele Viola, Diego Felice Manca, Federico Cannarsa, Nicola Lavero, Costanzo Musacchio, Matteo Lucchesi, Angelo Plescia, Vincenzo Basso, Nicola ed Antonio Campofreda, Vincenzo Gaspare, Nicola Lucchesi, Nicolantonio Viola.

Termoli – Federico Barone, Ernesto de Chellis, Gaetano de Chellis, Beniamino de Gregorio, Domenico Valiante, Gaetano Marinelli, Gennaro d’Abramo, Giulio de Dominicis, Michele Mascilongo, Achille de Vitale, Giovanni Perrotta, Giovanni de Renzis, Federico Campolieto, Luigi Campolieto, Gennaro de Chellis, Pasquale de Chellis, Luca Compagnone, Domenico Colonna, Basso Maria Barone, Achille Salerno, Michele de Gregorio, Marcello Pignoni, Biase de Renzis, Gennaro Perrotta, Antonio de Renzis,

Campomarino – Giuseppe Iacovelli.

Rotello – Enrico Benevento,(maggiore comandante la 2. colonna) Enrico de Stefano, (con medaglia al valor militare) Giuseppe Perrotta, Ruggiero Colavecchio, Nicola Colucci, Nicola Matteo Terzano, Michele Montuori, Michele Ianilo, Francesco Antonio Salomone, Bernardino Petti, Pietro Biondi, Celestino Garillo, Michelangelo Caterino, Andre Luccitelli ,Federico Petti, Antonio Iannacci, Michele d’Aloia, Crisostomo Buccino, Michele Iacovazzi, Luigi Gentile, Michele Saltarelli, Vincenzo Campolieto.

Civitacampomarano – Domenico Colonna, Arcangelo di Paola, Raffaele Caprara, Teodoro Cuoco, Ascanio Alderico, Elviro d’Ascanio, Michele Paolucci, Giuseppe di Paola, Pasquale di Paola, Pasquale Caruso, Giuseppe Carolino, Giuseppe Compagno, Giuseppe Nicola Natelli, Alessandro Emanuele, Giosuè Pardi, Beniamino Pardi, Salomone Pardi, Vincenzo di Salvo, Vincenzo Rosa, Liborio Pardi, Giuseppe Altobelli, Luigi Trivisonni, Felice Camparone, Francesco Saverio Marziotti, Giorgio d’Aloisio, Donato Francesco, Alessandro di Muino, Francesco Villani, Pasquale di Paola, Francesco Pepe, Ludovico di Paola, Francesco Matteo.

Castelbottaccio – Giuseppe de Lisio.

Castellino – Francesco de Lisio, Anselmo Venditillo, Luigi Fratangelo, Giovanni Storto, Antonio de Fabio, Pietro Storto, Angelo Michele de Leo, Domenicantonio di Fabio.

Palata – Enrico Ricciardi.

Guardialfiera – Vincenzo de Leo, Pietro Torzillo, Marco Vincenzo Mastrocola, Francesco Caso, Leonardo Principe, Nicola Gentile,Costanzo Bucci, Igino Montano, Enrico Reicco, Bernardino Loreto, Ernesto de Lisio.

Lupara – Giuseppe Suriani, Pasquale Coletta, Emmanuele Masone, Teodoro Morrone, Giacomo Donato d’Alessio, Onofrio Gaudenzio, Andrea Lembo, Gabriele Salvatore, Giuseppe Antonio Cantelli, Giuseppe Antonio Serafino.

Lucito – Emmanuele Marone, (capitano medico) Domenico Minicucci, Domenico de Rubertis, Giuseppe Loffredo, Domenico Varrato, Francesco Grignuoli, Aurelio Fiore, Giulio Loffredo, Beniamino Pettinicchio, Cosmo Ianni-Roberto, Michelangelo de Rubertis, Scipione Muricchio, Pasquale Lombardi, Matteo Centomolle, Raffaele Campopiano, Nicolangelo da Visis, Ettore d’Onofrio, Giuseppe Nicola Cuoco, Michele Minicucci, Giuseppe Battista.

Il governatore della provincia: Nicola de Luca—Il commissario politico: G. de Santis—Il maggiore: Enrico Benevento.

Triventi – Raffaele Ciafardini.

Elenco dei volontari del circondario di Campobasso, che unitamente a quelli del circondario di Larino presero parte al fatto d’armi contro i ribelli d’Isernia, avvenuto il giorno 4 ottobre 1860.

Campobasso – Nicola de Luca ( governatore della provincia e comandante della 2 colonne di Larino e Campobasso) ,Federico Pistilli, Domenico Bellini, Federico Filipponi, Leopoldo Colucci, Filippo Barone Iapoce, Eugenio Fiorilli, Domenico Eliseo, Francesco Pietrunti, Giuseppe Rezza, Raffaele Trotta, Giovanni Morbillo, Achille Doria, Filoteo Pace, Luigi di Iorio, Giuseppe Antonio Angiolilli, Giustino Bonucci, Alfonso Scognamillo, Giovanni Cerio, Domenico Bonarosa, Pasquale Iosa, Domenico Taddeo, Gaetano Frangipani, Raffaele Bracone, Michele de Socio, Federico Pelosi, Francesco Paolo Romano, Pasquale de Socio, Francesco Coppola, Bartolomeo Coppola, Tommaso Petrunti, Ascanio Gravina, Gaetano Trotta, Nicola Maria Manocchio, Domenicangelo Mastropaolo, Gaetano Poce, Francesco Lembo, Eduardo del Grosso, Gaetano Palazzo, Pompilio de Libero, Giovanni de Simone, Michele Colitti, Giuseppe Angiolillo, Antonio Nicastro, Raffaele Trivisonno, Michele de Santis, Domenico Petrunti, Pasquale Lerro, Domenico Tirabasso, Giovanni Mastropietro, Gregorio Eliseo, Pasquale Fede, Nicola Santangelo, Gennaro Zantonelli, Domenico Mastropietro, Pasquale de Toro, Gregorio Palombo, Giuseppe Gravina, Ferdinando Mastropaolo, Giuseppe Ferrante, Emilio Altobello, Paolo Eliseo, Saverio de Gregorio, Pompeo de Capoa, Francesco Paolo Oglio, Agostino Mastropaolo, Giovanni Ciaramella, Francesco Rinaldi, Giuseppe Gallo, Gennaro Massa, Pasquale Mancini, Giuseppe d’Angelo, Giuseppe d’Innocenzio, Federico Grano, Francesco de Matteis, Gennaro Antonello, Giuseppe Barbato, Giuseppe Grani, Luigi Passarelli, Alessandro Villani, Enrico de Ricco, Giovanni Mignogna, Erminio Gammieri, Ferdinando Iannetta, Francesco Libertucci, Gaetano Trivisonno, Giuseppe Lapiccirella, Giuseppe Focareta, Raffaele de Simone, Eugenio Colitti, Oreste Gravina, Fortunato Aurisano, Francesco di Ricco, Gaetano Zita, Angelo Santoro, Raffaele Zoccolo, Alberto Bonucci, Luigi de Rubertis, Francesco d’Angelo, Federico Bonucci, Carlo Morbilli, Francesco Mastropaolo, Nicola Petrillo, Paolo Santacroce, Tullio d’Astolfo, Eugenio Zita, Andrea Terzano, Francesco Amicantonio, Salvatore Latessa, Michelangelo Eliseo, Angelo Colitti, De Libero Basilio, Francesco duca Frangipani, Giacomo de Marco, Domenicangelo Picucci, Erennio de Rubertis, Gaetano Orlandi, Francesco Paolo Rinaldi, Francesco Paolo Paolone, Domenico Spetrini, Carlo Cacullo, Enrico Filipponi, Carlo de Nigris, Giovanni Baldini, Donato Cassella, Domenico Antonio Minni, Giovanni Vavolo, Vincenzo Palladino, Francesco Matticola, Nicola de Nigris, Pietro de Nigris, Cesare de Nigris.

Boiano – Nicola Casale, Benedetto de Marco, Saverio Picchiello, Ottavio Spina, Salvatore Ialonga, Domenico Ferrara, Giovanni Perrella, Costantino Picorelli.

Petrella – Francesco Fede, Antonio Cannavina, Fedele Carissimi, Francesco Ratino, Giuseppe Carissimi, Gaetano Ruscillo, Carlo Fede, Nicola Amoroso, Francesco Marinello, Vito de Stefano, Felice Marasca,  Nicola Lallo, Gennaro Carissimi, Pietrantonio Palmera.

Campodipietra – Teodosio Montino, Pietro Carlozzi, Teodoro Montino, Rinaldo Ricciardi, Carlo Carloni, Michele Franco.

S. Elia a Pianisi – Alessandro Palma, Luigi d’Adamo.

S. Giuliano di Sepino – Giacomo Pistillo, Nicola Maria Pusino, Gennaro Calabrese, Michele Gallo, Antonio Ricciardi, Francesco Pistillo, Domenicangelo Albino.

Sepino – Francesco Antoniani, Gioacchino Chiarizia, Alessandro Finizia, Michele Mucci, Flavio Caserta, Antonio Finelli, Tommaso Rinaldi, Antonio Bruni, Michele Martini, Pan?lo Brini, Giulio Fascelli, Antonio Mucci, Eduardo Roberto,Sebastiano Salvatore.

Mirabello – Giovanni Antonio Verdone, Vincenzo Garzia, Francesco Saverio Fantanico, Giuseppe Baranello, Muzio Pistilli, Raffaele Spicciati, Emmanuele Capalozzi, Giovanni d’Angelo, Domenico Margiasse.

Sassinoro – Giovanni de Angelis, Michele de Angelis, Lorenzo de Angelis, Nicola Mastracchio, Pellegrino di Mello, Rocco della Camera, Gius. Arietano, Domenico Gambarota, Pellegrino Santucci, Giambattista di Mello, Ferdinando Mastracchio.

Ferrazzano – Andrea Bisaccia, Erminio Cicchesi, Vincenzo Cardillo, Vincenzo Mastrogiovanni, Nicola Cicchesi, Filomeno Baranello, Pasquale Palladino, Luigi Albino, Michele di Iorio,.

S. Lupo – ( attualmente in provincia di Benevento, apparteneva prima a Campobasso) Celestino Saccone.

Monacilione – Francesco de Marziis, Modestino Maselli.

Pietracatella – Francesco Maselli.

Limonano – Beniamino Giannantonio.

Castropignano – Amilcare Evangelista.

Il governatore della provincia; Nicola de Luca – il commissario politico; Giacomo de Santis – il maggiore: Enrico Benevento.

                                                                                                      A. Perrella

Rimembranze Storiche

Cinquant’anni fa nel Molise di Alfonso Perrella

tratto da

“ La Provincia di Campobasso Anno XV n. 14 del 27 Agosto 1911 pagg.1-2 ”

Capo III

La marcia dell’esercito Piemontese verso Napoli, la battaglia al macerone, il Re Vittorio Emanuele II in Isernia e in Venafro, ed altre notizie storiche, politiche e strategiche relative a quei tempi.

Sommario

I. La profezia di Balbo sul 1860 – Lo sbarco di Garibaldi in Sicilia e suoi sentimenti repubblicani, vinti poi, da Cavour, anche in Napoli – Il grido di dolore delle Province Meridionali – L’Unità Italiana vagheggiata anche negli antichi tempi.

II. Il Re riceve la Deputazione Napoletana e passa il Tronto – Itinerario delle 3 Divisioni Piemontesi – Incontro del Colonnello Materazzo col Governatore De Luca in Casteldisangro – E di costui con Cialdini a Sulmona – Il Ministro Villamarina a Larino.

III. Il primo incontro fra i Piemontesi ed i Borbonici – La battaglia del Macerone narrata dal Delli Franci

IV. La stessa battaglia narrata dal Costantini e dal Mario – Cialdini in Isernia – I primi Piemontesi in Cantalupo.

V. Cialdini a Venafro – Sue disposizioni – Dimostrazioni Garibaldine in Campobasso – Il gran chiasso in quel teatro – Iil telegramma di Cialdini al Governatore De Luca – Viva Vittorio Emanuele e Viva Garibaldi – Telegramma di Garibaldi a Nullo ad altro al De Luca. – Il Plebiscito nel Regno – In Larino

VI. Il Re Vittorio Emanuele entra nella prov. di Molise – Deputazioni che gli vanno incontro – Entra in Isernia – Un uomo che vorrebbe uccidere Francesco II con una pugnale – Parola del Re – Riceve la deputazione di Campobasso e di Larino – Un’avventura amorosa – Le truppe accampate a Venafro.

VII. Il RE Vittorio in Venafro – L’incontro con la signora Cimorelli – Ricevimento di Deputazioni – Partenza del Re – Sull’incontro con Garibaldi.

VIII. Mosse strategiche delle truppe Borboniche – I Generali Ritucci e Salzano – Lettera di Cialdini a Salzano per un colloquio fra gli avamposti delle due armate – Il Ministro della guerra emana, da Gaeta, un Memorandum contro la invasione Piemontese – Altro del Generale ….. – Altri movimenti di truppe Piemontesi da Venafro a Teano – Incendio all’Ospedale di Venafro – Rapporto di Farini a Cavour sulla reazione d’Isernia – Scarcerazioni in Sessa de’ Garibaldini della Colonna Nullo, fatti prigionieri presso Isernia Arresti in Venafro per ordine del De Luca – Gl’infermi nell’Ospedale di Venafro.

IX. Osservazioni sui fucilati per ordine di Cialdini.

Lo storico Cesare Balbo, nel suo interessante libro intitolato: La situazione politica nel 1846 (Edizione Le Monnier, pag.348) ebbe a scrivere:<……E badate a ciò, o miei reggitori, si vivrà in tal divisione, la quale, ora al sorgere del 1847 è svantaggiosissima lal’Europa occidentale, men forte, meno unita; ma in tal divisione che, se sia vera la potenza dell’opinione, della civiltà, della libertà o dell’indipendenza della vera carità universale, dalla Cristianità, si farà più vantaggiosa nel corso del 1847 che non ora, più vantaggiosa nel 1848 che nel 1847, più più nel 1849 che nel 1848, più nel 1850 che nel 1849, e via più nei dieci anni che rimangono ad arrivare intorno a quel 1860, che concentra in sè tanto avvenire. Non vi sgomentate nel 1847° in qualunque altro di questi anni nomati, se non sarà potente la progressione, se parrà fermarsi od anche dare addietro. Io protesto contro le apparenze, contro agli agomenti momentanei. Date tempo all’invincibil tempo; date solamente quell’atomo di 12 a 18 anni; ed io, presi agio d’intieri secoli non parere stolto profeta, non prendo già qui che pochi anni. E, come già m’ingannai nello sperar troppo lento, forse m’ingannerò al medesimo modo anche qui. >> Il Balbo fu buon profeta, perché effettivamente, nell’anno da lui indicato cioè il 1860, ebbero lieto compimento le aspirazioni, i desideri, i voti di tanti milioni d’Italiani, i quali indipendente ed unita la loro Gran Patria. Accennerò, in breve, i fatti che precedettero il grande avvenimento. Garibaldi, sbarcato a Marsala, l’11 Maggio 1860, con i suoi 1000, aveva, di accordo con Mazzini, Crispi, Bertani ed altri, la intenzione di proclamare la Repubblica. Ma Cavour, durante quella celebre campagna, inviò al Generale vari abili emissari, i quali, alla fine, lo persuasero a dichiarare l’Unità Italiana sotto lo scettro di Casa Savoia. E così, il nucleo repubblicano, fermatosi pare in Napoli, dopo aver molto resistito, ebbe ad indebolirsi, a disperdersi, associandosi, man mano, alla idea predominante nella grande maggioranza degl’Italiani. Continuando sempre la Diplomazia a lavorare in segreto per l’annessione del Regno di Napoli al Piemonte, e maturate bene le cose, il Re Vittorio E. II ebbe a dichiarare ,solennemente, alla Camera Subalpina, di non poter più oltre resistere al grido di dolore, che, di continuo gli veniva dalle Province Meridionali, e perciò averr deciso correre al loro soccorso. La camera battè le mani, approvando pienamente quella audace politica, come fece pure Napoleone III. E sua Maestà non tardò a muoversi per capitanare l’esercito Piemontese, non buona parte del quale già da un pezzo, trovasi nell’Umbria e nelle Marche, sotto la guida del Generale Cialdini. Si stava, così, maturando alla fine, e compiendo il generoso disegno dell’Unità del bel paese; Unità tanto vagheggiata e tentatat dagli antichi Sanniti, Marsi. Marruccini ed altri popoli, nella famosa guerra Italica o Sociale. La quale patriottica idea era persa, dopo molti secoli, rinnovata, ma, per le avverse condizioni, neppure tentatat da Gioacchino Murat, di accordo col nostro Giuseppe Zurlo, suo Ministro e Consigliere.

/(continia) A. Perrella .

Rimembranze Storiche Cinquant’anni fa nel Molise di Alfonso Perrella

tratto da

“ La Provincia di Campobasso Anno XV n. 15 del 16 Settembre1911-pagg.1-2 ”

II

Sua Maestà V. E., dopo averne avvisato, con telegramma, Napoleone III, si decideva a passare il Tronto, lanciando, in data 9 Ottobre 1860, un Proclama ai (a’) Popoli dell’Italia Meridionale, dicendo loro: << Io non vengo ad imporre la mia volontà, ma a far rispettare la vostra >> (1) Indi partiva da Ancona, ed a piccole giornate, per dare tempo che le province Napoletane si pronunciassero per l’annessione. ( N. Nisco: Il Generale Cialdini ed i suoi tempi – Napoli 1893 p. 202). Il 12 Ottobre il Re ricevette a Grottammare una Deputazione di Napoletani, composta da Ruggiero Bonghi, Luigi Settembrini, Carlo Capomazza, Michele Baldacchini ed altri, i quali lo pregarono di sollecitare la marcia per Napoli. La detta Deputazione, non potendo passare per la via più breve, Isernia, perché occupata dalle truppe Borboniche, dovette allungare di molto il viaggio, andando per Livorno, Bologna, Ancona, finchè raggiunse il Re a Grottammare. V. E. accolse festosamente la Deputazione, promettendo andar subito nel Regno, e premurando di fare il Plebiscito. Ma, incalzando sempre più gli avvenimenti, il Re, rotti gl’ indugi, passava il Tronto alle ore 10 del 15 Ottobre ed alle 3 entrava a Giulianova. Su quella celebre marcia ecco ciò che scrive B. Costantini nel libro: Azione e Reazione, notizie storiche – politiche degli Abruzzi ecc. (Chieti 1902 .99): << Da Giulianova, il Re passo a Pescara, quindi a Chieti, Sulmona, Isernia, ed in ultimo a Venafro, e paesi intermedi…… Non potendo condurre nel Napoletano tutto l’esercito, di cui una porzione non poten allontanarsi dalla sua base di operazione, dispose l’invio dell’esercito a colonne e per le tre vie, una cioè da Rieti doveva passare per Autrodoco – Aquila – Popoli – Sulmona dove si sarebbe congiunta con la seconda colonna, in cui stava il Re, che costeggiando l’Adriatico avrebbe risalita in valle del Pescara per riuscire a Casteldisangro. La terza colonna, comandata da Cialdini, avrebbe anche costeggiata la marina fino a Pescara: ma poi a Pescara avrebbe ripiegato per la via di Chieti – Casoli –Palena – Casteldosangro, per impadronirsi quindi del passo e delle alture del Macerone, e farsi forte colassù , prima che i Borbonici, che si sapevano in marcia da Venafro ad Isernia, occupassero la montagna, impedendo così il ricongiungersi a’ volontari Garibaldini. Il passaggio delle truppe si compì con una precisione ammirevole. Vittorio E. , dovunque si fermò, fu accolto con entusiasmo. Mentre il Re Vittorio stava ancora in Perugia, fu inviato da colà il Colonnello Materazzo, in furia e fretta con l’incarico di raggiungere Napoli, per informarsi del vero stato delle cose. Egli, giunto in Casteldisangro, vi trovo il Governatore del Molise D. Nicola De Luca, costretto con i suoi volontari abbandonare Isernia il 4 Ottobre. IL De Luca ???? parla di questo incontro nel << Breve cenno della spedizione d’Isernia>> (del quale posseggo una copia manoscritta, autenticata dal Generale Cosenza quando era Ministro del Governo provvisorio in Napoli): << Egli ( il Materazzo) voleva proseguire ma Isernia gli chiudeva il passo, come muro di bronzo. Avea missione di interrogarmi e prendere il mio avviso. Io le detti franco: richieda immediata la entrata delle truppe Regie negli Abruzzi come unica speranza di salvezza, e l’obbligai a partire 2 ore dopo pregandolo ad affrettare la corsa. Cinque giorni dopo, Cialdini era già a Sulmona: lo vidi, strinsi la mano al prode, e mi determinai a rientrare in Provincia per la strada de’ monti, poiché la mia missione era compita, gli Abruzzi ed il Molise erano salvi, e l’esercito Meridionale sicorato alle spalle; Ed era ben tempo che giungesse il Cialdini, perché già il Generale Scotti, con 6000 uomini di riforma ‘ muoveva da Isernia per venirci ad attaccare. Cialdini Lo incontra al Macerone, ove lo vinse >> Stimo utile aggiungere che, anche in quel frattempo, il Marchese Villamarina, Ambasciatore del Piemonte presso il Governo Napoletano, volendo andare incontro al Re Vittorio, fu costretto allungare di molto il viaggio, percorrendo la strada di Campobasso, anziché quella d’Isernia, occupata da numerosa truppa Borbonica, come già si è detto. Passando per Larino, quel Sindaco (il patriotico Sig. Spiridione Caprice) gli presentò una petizione Del Consiglio Comunale nella quale si riconosceva Vittorio Emanuele come Re d’Italia. Il Villamarina accolse con molto gradimento quel Deliberato, e promise presentarla subito al Re; tanto più che era la prima di tal genere, che a lui fosse stata consegnata. Di questa missione del Villamarina, parla pure l’Ammiraglio Persano dicendo che partì da Napoli il giorno 1? Ottobre ed arrivò al campo superando ogni intoppo. (Diario privato – politico – militare – Torino 1880. p. 345 e 370 (continua) A. Perrella

(1) Chi avesse vaghezza di leggere il Proclama mitico può trovarlo nel libro del Persano e Diario privato politico >> Torino 1880, p. 50.

Rimembranze Storiche Cinquant’anni fa nel Molise di Alfonso Perrella

tratto da

“ La Provincia di Campobasso Anno XV n. 16 del 3 Ottobre1911

p.1 ”

III

Eccoci ora allo scontro del Macerone, che come battaglia non ha molta importanza, ma come fatto politico, invece, ne ha una grandissima, perchè, fra quelle romantiche balze, con l’urto de’ due eserciti, si ebbe anche l’urto delle due politiche, cioè fra le antiche e le nuove idee; ed essendo queste ultime riuscite vittoriose, da quel momento ed in quel luogo può quasi dirsi che ebbe veramente inizio la formazione e costituzione della Gran Patria Italiana, il nuovo Governo col Re Galantuomo Vitt. Em. II; come confermò il Plebiscito nel seguente giorno 21. Giovanni Delli Franci, Colonnello di Stato Maggiore nell’esercito Borbonico, così scriveva nell’interessanta libro intitolato: << Cronaca della campagna di Autunno del 1860, fatta sulle rive del Volturno e del Garigliano dell’esercito Napolitano >> ( Napoli 1870, Vol. 2 p. 157). <<All’alba di questo giorno ( 10 Ottobre 1860 )il Generale Scotti, reduce da Venafro, ordinò al De Liquori di attaccare sul Monte Macerone gli armati nemici, i quali diceva essere massa di gente di (non leggibile) poco o minor conto. Non valsero a cangiare il propoponimento di lui le parole del De Liquori, e di quanti erano nel paese onesti cittadini che affermavano quei nemici non comporsi di masse. Perchè 634 Gendarmi e 240 volontari, capitanati dal De Liquori, marciarono per attaccar zuffa sul Macerone senza sapere qual si fosse l’oste avversa che avrebbero incontrato, e come fosse a campo. Questo piccolo numero di soldati e di volontari fu diviso in tre colonne, una per ciascun lato, e l’ultima sulla via maestra appoggiata da due cannoni. Esse non tardarono ad imbartersi nel nemico, ed a 7 ore del mattino si cominciò la pugna da ambe le parti. I Gendarmi e volontari, spiegati in ordine aperto senza sostegno, perchè certi di essere sussidiati dal I. Reggimento di fanti, aggredirono sì audacemente i posti avanzati degli avversari che, in breve orali ripiegarono. Il nemico credeva di essere assalito da numerose truppe, e per accertarsene, difendendosi, artificiosamente indietreggiava. A 9 ore della stessa mattina giunse sul terreno del combattimento il 1. Reggimento di fanti col Generale Scotti ed il capo dello Stato Maggiore di lui, Colonnello Gagliardi, il quale andò subito ove viva era la pugna, e lo Scotti, che aveva la divisa e non la mente di Generale, e che aveva mandato i soldati a guerreggiare per essere vinti ed uccisi, rimasto solo si appressò al sostegno più vicino de’suoi che stava sulla via consolare. Il nemico, intando raffirzò di molto le file de’ suoi combattenti, e fece trovare le artiglierie rigate, a soffocare le quali non eranocerto acconci i due cannoni di montagna del De Liquori. Il combattimento addivenne allora assai ineguale, che le forze Napolitane ebbero a pugnare con oltre dieci volte maggiori di loro: Il Generale Scotti troppo tardi si avvedeva di avere a fronte l’esercito Piemontese, il quale, forte di numero e condotto dal Re Vittorio Emanuele, invadeva, senza piena ragione, un Regno amico. Fra tanto i Napolitani, non potendo resistere alla superchiante ???? nemica, cominciarono a ritirarsi. E fattisi certi gli avversari che combattevano contro soldaresca di scarso numero, la investirono gagliardamente e la inseguirono. Essa, contrastando palmo apalmo il terreno, piegava verso Isernia, ma accerchiata da numerosi fanti e cavalieri nemici caddero prigione 400 soldati del 1. de’ fanti, il Tenente Colonnello Auriemma, e gran parte degli ufficiali di lui. Nel tempo stesso uno squadrone de’ lancieri di Novara, caricando luogbasso la via consolare quel de’ Napolitani, che stavano più indietro per essere di riscossa, fece prigione il Generale Scotti, il Colonnello Gagliardi, il De Liquori, tre ufficiali di Gendarmeria e 125 Gendarmi. Il restante della truppa Napolitana riparò su pei monti in Isernia e poscia in Teano. Di questa infausta guerra fu tosto informato il Generale Echaniz, il quale da Teano mandò subito un plotone di cavalleria in Venafro per averne più certe novelle. Il Re Francesco fu ancora prestamente ragguagliato della mala sorte toccata alle milizie d’Isernia per colpa dello Scotti, e ne tenne avvisato il Ritucci, il quale ricevuta la notizia spiacevole, dal Re, dallo Echaniz, e dal Gargiulo, Capitano di Gendarmeria, propose al Sovrano che tutto il corpo d’esercito si ponesse in cammino per Teano, ed ivi campegginase. Ed il Re, rispostogli di consultare su di ciò lo stato Maggiore di lui e di operare subito e bene, gli ordinò di mandare verso Venafro ub ufficiale di stato Maggiore per incontrare le truppe che si ritiravano da quei luoghi e farle ripiegare in Teano, affinchè, unite alla brigata del Grenet, guardassero meglio quella posizione. Il che per opera del Tenente Colonnello Giobbe, fu immediatamente effettuito >>. Fin qui Delle Franci. Credo utile aggiungere che i Napolitani, i quali combattettero al Macerone, sommavano al numero di 1674 uomini, cioè 800 del 1. Reggimento fanti, 634 o 694 Gendarmi e 240 volontari. Il Generale Scotti fu fatto prigioniero mentre stavasene nel suo cocchio per sapere notizie della guerra che conbattevano le sue truppe, e nel cocchio stesso fu condotto al quartier generale del nemico. I tre ufficiali di Gendarmeria, che caddero prigionieri dell’ ??????? furono i capitani Puzio e Toran ( e quest’ultimo era altresì ferito sul capo) ed il Tenente Pesapia. De’ Piemontesi si distinse nel detto combattimento il Reggimento Novara Cavalleria, e specialmente lo squadrone comandato dal Capitano Di Moniglio, che si ebbe la medaglia di oro per una brillante carica. Con questa battaglia ebbe fine la reazione nel circondario d’Isernia, che costo 1245 vittime e soldati delle due armate beligeranti. (continua) A. Perrella

Rimembranze Storiche Cinquant’anni fa nel Molise di Alfonso Perrella

tratto da

“ La Provincia di Campobasso Anno XV n. 17 del 14 Ottobre 1911

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IV

Dopo aver inteso uno scrittore Borbonico, sentiamo ora ciò che, sullo stesso argomento, dice un liberale, cioè il Costantini nel già citato suo bel libro (p. 128 e seg. ), anche perchè da altri particolari: << Prima di V. E., gia a Chieti erano passate le 2 Legioni di Cialdini, il quale aveva fretta di occupare il passo del Macerone. Precedeva il Corpo di esercito di un alloggiamento, il Colonnello Paolo Griffini o Gaffini o Goffini con 2 Battaglioni di Bersaglieri, 2 compagnie di Zappatori del Genio, 2 Reggimenti di Cavalleria e 4 cannoni. Egli doveva fermare il 19, a Rionero, che è a metà nella vallata della Vandra; ma, considerando la importanza di quel passo, che decideva delle sorti della guerra, e divisando che era pericolo indugiare, senza temere il rischio in cui si metteva, disobbedì al Generale, e partì per Rionero. Arrivato al torrente Vandra, vi lasciò a guardia la Cavalleria e Gli Zappatori, e sul far dell’alba incomunciò l’erta.. L’esercito sardo / se devo credere ad un testimone oculare, senza tener conto di qualche compiacente scrittore che, in seguito volle ad ogni costo giustificare le mosse dei Piemontesi) fu veduto dai Borbonici che erano, per la maggior parte, giunti in cima al monte. Essi ammontavano a tremila soldati di ordinanza ed altrettanti partigiani con una batteria, ed erano comandati dal Generale Douglas – Scotti di Piacenza. I soldati Piemontesi non erano giunti a metà della costa, quando i Borbonici incominciarono il fuoco. Vi fu quindi non poco timore; ma si cerco di resistere, per quanto era possibile, al fuoco del resto pochissimo animato dei nemici. Il Griffini, fatto accorto del pericolo, e non potendo ritirarsi, già aveva mandato ad avvertire il Generale in capo. Cialdini gli rispose che se si fosse subito recato al quartiere generale per essere sottoposto a consiglio di guerra. IL Griifini, di rimando, gli fè conoscere che avrebbe obbedito, però dopo il combattimento, ma si fosse intanto affrettato a soccorrerlo. Il combattimento durava da lunga pezza; l’esercito di Vittorio resisteva, il Griffini era da per tutto, ma il piombo nemico faceva strage tra le file. Intando ecco che giunge dopo il mezzogiorno Cialdini con La Brigata Regina, cui seguivano alquanti cavalli lancieri di Novara. Dalle difese i sardi passanp anbito alle offese, facendo impeto da tre lati. I Borbonici piegano sparpagliandosi, nel mentre che i soldati d’ordinanza ai ritraggono per ricomporsi sulla strada d’Isernia. Ma, pronto, l’animoso Griffini, avuto ai suoi cenni lo squadrone di cavalleria, rovinò addosso ai BOrbonici; e fu allora che si vide tutto l’esercito disfarsi delle armi e darsi a fuga o prigione. Ottocento soldati, trentasette ufficiali, fra cui cinque colonnelli e lo stesso generale Scotti, due pezzi di artiglieria e la bandiera del 1° Reggimento vennero nelle mani del vincitore. Il Griffini, per tali atti di valore fu assolto dalla disubbidienza, e ricevette del Re degna onoranza. La rotta del Macerone, fu un colpo mortale alla causa borbonica. Io l’ho raccontata in breve cone ho potuto riassumerla dagli scrittori del tempo, perchè la battaglia avvenne poco al di llà dei confini della nostra Regione, e vi presero parte non pochi nostri patrioti che formavano la schiera detta del Gran Sasso, comandata dal maggiore Tripoti.>> Mi piace in ultimo, riportare sullo stesso argomento, una breve relazione, scritta, a forma di lettera, da un testimone oculare, che prese anzi parte a quella zuffa, fra i Bersaglieri. <<Ella mi chiede dei dettagli sul combattimento del Macerone avvenuto il 20 ottobre 1860, e non poteva dirigersi meglio, poichè storici, col solo appoggio di una tradizione spesse volte errano, scrivono cose inverosimili, come si consta aver letto in alcune opere. Ecco come fu: nella notte del 19, il sesto e settimo battaglione bersaglieri dovevano fare una tappa a Casteldisangro, ma un ordine del quartier generale ci fece proseguire la marcia forzata in direzione d’Isernia. Ricordo che in questa marcia, avanzammo perfino la cavalleria. All’alba del 20 giungemmo alla vetta del monte Macerone e ci fermammo. Alla sinistra tenevamo un battaglione del 10° Reggimento Infanteria (Brigata Regina). Il nostro riposo non durò molto. Alle 7 ½ scorgemmo al piè della collina l’avanzarsi di un piccolo esercito borbonico , e che si è calcolato in sei mila uomini più o meno con 4 pezzi di artiglieria di montagna. Lo si vide dividere in due colonne involgenti, per prenderci nel mezzo.L’esiguo numero delle nostre forze pareva dare maggior lena all’avversario, poichè si avanzava a tamburo battente con un regolare corpo di musica, che rimase in retroguardia. Dalla nostra parte l’effettivo dei combattenti non arrivava certamente a millecinquecento uomini. Circa le 8 le colonne borboniche giunsero presso a poco a 60 passi sulla nostra linea, senza essere molestate, quando di colpo, i nostri irrompono ad una carica alla baionetta, tanto decisiva che i borbonici rimasero sorpresi. Ferve l’azione d’ambo i lati e l’artiglieria borbonica coi suoi sbrupnela mi ostilizzava nel centro dove io era. Per sorte la muraglia o mitraglia non aveva ancora fatto breccia nei miei uomini; vedendo poi che a me toccava vincere quell’arma terribile non esitai un istante. I mie bersaglieri erano eroi sperimentati e ci lanciammo sopra i cannoni. La lotta colla riserva borbonica e gli artiglieri durò fino alle 10 ½ arrivò a spron battuto il Colonnello Pallavicini alla testa di uno squadrone di lancieri di Novara, e seguì la pista dello Stato Maggiore Borbonico, raggiungendolo vicino Isernia. Alle 11 ½ il Colonnello Pallavicini apparve nuovamente di ritorno, però col Generale Scotti, borbonico, fatto prigioniero insieme al di lui Stato Maggiore. Devo ricordare un atto cavalleresco del Generale nemico. Di passaggio vicino ai pezzi di artiglieria, dove stavo io con i mie bersaglieri contemplando il bottino di guerra, Scotti si tolse il Kepì e ci saluto dicendo: vi saluto bersaglieri, non conosco soldati più valenti di voi. Voglio aggiungere che, del piccolo esercito borbonicoimpegnato nell’azione del monte Macerone non scappo nessun soldato, vi fu solo sbandamento e molti furono fatti prigionieri. Ecco come finì il combattimento>>. Questa lettera trovasi stampata a pag. 98-101 dell’interessante libro intitolato: Campanile, Memorie Abruzzesi di M. Somma Metèlo, 2. Edizione, edita a Tuecman Repubblica Argentina, 1910. Autore della lettera e il Sig. Antonio Moria, il quale trovassi alla zuffa e come furiere, a capo de’ suoi 35 bersaglieri, caricò alla baionetta e s’imposesso de’ 4 cannoni. Anche il Generale B. Orero o Grero, che trovossi come tenente fra le truppe Piemontesi, ha descritto quella battaglia nell’interessante suo recente libro intitolato: Da Pesaro a Messina, Torino – Genoba – 1905 (p.121 e seg.) L’avanguardia Piemontese entro in Isernia poco dopo mezzodì, accolta entusiasticamente da’ pochi cittadini rimastivi, essendone fuggiti, poche ore prima, moltissimi, fra cui il Vescovo Monsignor Saladino, la famiglia De Lellis, ed altri, diretti verso Gaeta.Man mano vi arrivarono altre numerose truppe, e verso le 5 pom: anche il Generale Cialdini col suo Stato Maggiore. Egli prende alloggio nel palazzo de’  Signori Laurelli. Trovasi pure in Isernia il Marchese di Villamarina, il quale, dopo di avere incontrato il Re, ed infomatolo del vero stato di cose in Napoli, erasi molto all’avanguardia Piemontese. Infine, come bricciola storica mi piace ricordare che i primi soldati Piemontesi (una ventina con 2 Ufficiali ) appartenenti al Treso, vennero qui, in Cantalupo, nel giorno 22 Ottobre, e poi anche nè seguenti, per comperare foraggi, specialmente fieno, che, senza punto lesinare pagarono all’alto prezzo di lire 10 il cantaio o centaio. E, fra gli altri, ne vendè molto D. Ferdinando De Chiro, che coltivava a lupinella la maggior parte de’ suoi terreni. In quella occasione, si videro, la prima volta. i marenghi, che furono presi con una certa diffidenza, ignorandorsene il preciso valore.

(continua) A. Perrella

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